La salute in un mondo del lavoro dalle coordinate sempre più incerte.
di Silvia Bruzzone
Tag: #disabilità #cronicità #salute #lavoro #welfare #diritti umani #discriminazioni #ASviS #Agenda2030 #UE2020
1. Innovazione e società.
La ricerca e l’innovazione (definita dall’OCSE nell’Oslo Manual come “l’implementazione di un prodotto – bene o servizio – nuovo o significativamente migliorato, oppure un processo, un nuovo metodo di marketing, o altrimenti un nuovo metodo organizzativo di business, luogo di lavoro o relazioni esterne”) sono al centro delle politiche promosse dalla Commissione europea per rilanciare l’occupazione, la crescita e gli investimenti.
Da un lato esse rappresentano un investimento a beneficio della nostra salute, perché forniscono e forniranno gli strumenti necessari per una medicina più personalizzata; miglioreranno la prevenzione e il trattamento delle malattie; permetteranno di fare nuove scoperte scientifiche e di fare diagnosi più precise con terapie più efficaci; consentiranno la diffusione di nuovi modelli di assistenza e di nuove tecnologie per la promozione della salute e del benessere.
Dall’altro, per le aziende, la ricerca e l’innovazione sono essenziali per crescere ed essere sufficientemente flessibili rispetto all’evoluzione dei mercati. L’innovazione organizzativa, in particolare, richiede l’utilizzo del capitale umano, l’implementazione dei metodi più efficaci di organizzazione del lavoro – anche in ottica interdisciplinare – e la gestione delle molteplici questioni di equilibrio vita-lavoro.
I grandi cambiamenti che hanno caratterizzato gli ultimi decenni del mondo del lavoro sono, infatti, destinati a proseguire in futuro. Le incertezze sono molte. L’invecchiamento della popolazione, l’innalzamento dell’aspettativa di vita, gli sviluppi della ricerca scientifica sono, invece, solo alcune certezze. Esse ci hanno semplicemente messo davanti una situazione che fino a qualche decennio fa si credeva riguardasse “solo” coloro che nascevano con patologie congenite, o chi si trovava a “dover fare i conti” con infortuni sul lavoro o malattie professionali: si ritenevano temi talmente “circoscritti” da giungere all’emanazione di normative ad hoc (ad esempio la legge 68/99) solo dopo aver fatto grandi battaglie per i diritti civili ed umani.
Il tema della salute è oggi approfondito per più aspetti e a vari livelli.
E’ tra l’altro argomento divenuto urgente, negli ultimi anni, in merito alla sostenibilità dei sistemi nazionali di welfare presenti e futuri (M.TIRABOSCHI, “Le nuove frontiere dei sistemi di welfare: occupabilità, lavoro e tutele delle persone con malattie croniche”., in D.R.I. 2015, n. 3). Nell’ambito dell’ordinamento italiano vi sono una serie di norme – che si sono sedimentate nel tempo, anche in modo caotico – a tutela di singole specifiche patologie, dello stato di malattia, degli infortuni e delle malattie professionali; per il riconoscimento di prestazioni assistenziali e previdenziali attraverso, peraltro, accertamenti sempre più inadeguati che focalizzano l’attenzione sulle conseguenze delle patologie, anziché prestare attenzione ai bisogni reali e al livello di “funzionamento” della persona stessa nell’ottica prevista dalla Classificazione Internazionale del Funzionamento, della salute e della Disabilità (OMS 2001).
Con l’ICF verrebbero meno le distinzioni, peraltro incomprensibili e sovente discriminanti, tra disabilità grave e non grave, o tra grave e gravissima, tra cronicità progressiva e non, tra disabilità e cronicità. Verrebbero considerate e classificate le funzioni e le strutture corporee, le attività e il grado di partecipazione dell’individuo nei contesti di vita quotidiana; sarebbero valutati i fattori contestuali relativi all’ambiente fisico e sociale; sarebbero individuati gli ostacoli da rimuovere e gli interventi da effettuare (amplius M. LEONARDI – C. SCARATTI, “Persone con malattie croniche nel mondo del lavoro in Europa e modello biopsicosociale della disabilità. Il progetto PATHWAYS”., in Boll. Spec. ADAPT, 18 maggio 2016, n. 7, http://www.bollettinoadapt.it/persone-con-malattie-croniche-nel-mondo-del-lavoro-europa-e-modello-biopsicosociale-della-disabilita-il-progetto-pathways/ ).
L’inadeguatezza e gli effetti controproducenti dei sistemi di accertamento esistenti sono oggi ancora più evidenti che in passato, perché le tecnologie stesse consentono di ripensare al grado di partecipazione del singolo alla vita quotidiana: una donna con patologia progressiva in stadio avanzato può continuare a svolgere il proprio lavoro di ingegnere informatico utilizzando il solo movimento delle palpebre, avvalendosi di una postazione creata per lei. La robotica e la biotecnologia consentono ad una persona amputata agli arti di continuare a camminare e guidare. Talune attività complesse (di elaborazioni di dati e documenti, di programmazione di software, il software testing e il monitoraggio di sistemi) sono svolte da persone con patologie intellettive a cd. “alto rendimento”.
Il paradosso è attuale visto che il tema del rapporto tra tecnologia e lavoro è al centro del dibattito pubblico con la cd. IV Rivoluzione Industriale (cfr. L’indagine conoscitiva assegnata dalla Presidenza del Senato alla 11a Commissione Lavoro e Previdenza Sociale https://www.senato.it/4332?link_atto=1348 ; ved. “ICT e lavoro: nuove prospettive di analisi per la salute e la sicurezza sul lavoro”., INAIL, 2016, https://www.inail.it/cs/internet/docs/alg-pubbl-ict-e-lavoro-nuove-prospettive-di-analisi.pdf ).
Occorre anche prendere atto di tutta una serie di cambiamenti della società e dei rapporti interpersonali; della diffusione dello stress lavoro correlato; dei numeri del precariato e dell’insicurezza sul lavoro; oltre alla crisi socio-economica dell’ultimo decennio. Essi hanno determinato tutta una serie di vecchie e nuove “situazioni di salute” come, ad esempio, la depressione per le persone disoccupate che spesso viene sottaciuta, se non ignorata: l’’utenza trattata dai servizi di Salute Mentale nell’anno 2015 (secondo i dati forniti dal Sistema informativo salute mentale) è stata di 777.035 soggetti, con un tasso pari a 1.593,8 / 100.000 ab., mentre l’utenza al primo contatto è stata di 369.569 soggetti, pari al 47,6% dei trattati e a 728,9 / 100.000 ab. Il numero di accessi al PS per patologie psichiatriche ammonta a 585.087 (1.154,6 / 100.000 ab.). Si va dai disturbi affettivi, nevrotici e depressivi, alla schizofrenia, ma anche dai disturbi di personalità a quelli da abuso di sostanze. Si tratta dei dati ufficiali relative alle persone che hanno richiesto cure e/o supporto. Il dato, come immaginabile, è ben più elevato.
Vi sono poi le statistiche riguardanti migliaia di altre patologie rare e non. Tra le altre quelle riguardanti il cancro, ovvero “un insieme di circa 200 malattie caratterizzate da un’abnorme crescita cellulare, svincolata dai normali meccanismi di controllo dell’organismo” (così “I numeri del cancro in Italia 2016, 2016, pag. 17, http://www.registri-tumori.it/PDF/AIOM2016/I_numeri_del_cancro_2016.pdf), le cui cause note di alterazioni del DNA sono di vari ordini: ambientale, genetiche, infettive, legate agli stili di vita e fattori casuali. Secondo i dati 2017 vi sono mille nuove diagnosi al giorno. Tremila in più rispetto al 2016: in tutto 369mila nuovi casi Proprio le patologie oncologiche consentono di avere ancora più chiara l’inadeguatezza delle normative e delle disposizioni predisposte ad oggi per l’inserimento e la conservazione dell’occupazione (per approf. Ved. Boll. Spec. Adapt. 21 maggio 2015, n. 14, “Guarire dal cancro: criticità, bisogni e nuovi diritti.”, a cura di E. IANNELLI e F. SILVAGGI http://www.bollettinoadapt.it/bollettino-adapt/speciale/21-maggio-2015-n-14/ ). Non solo perché come per tutte le altre malattie non è detto che sia l’unica diagnosi esistente in capo alla persona, ma perché vi sono patologie che pur avendo lo stesso hanno evoluzione – quanto a terapia ed esiti – diversi da individuo ad individuo, anche le età sono le più diverse, i bisogni e i contesti socio-ambientali diversissimi, quelli formativi e/o lavorativi.
2. Ripensare le molteplici interazioni tra salute, persona, lavoro e welfare.
Ciò che resta, e resterà essenziale in futuro, è la necessità di un cambio concreto ed effettivo di paradigma del rapporto tra lavoro e cittadinanza: occorre incentivare la partecipazione attiva delle persone alla vita produttiva quale elemento di coesione sociale, da un lato, e di strumento di realizzazione individuale, dall’altro.
E’ fondamentale, quindi, ripensare i rapporti tra salute, persona, lavoro e welfare a più livelli: politico, normativo, contrattuale. Ed è necessario farlo in chiave multi ed interdisciplinare, per sviluppare linguaggi e logiche condivise prima e politiche/normative efficaci poi. Se si pensa alle persone in cerca di occupazione e ai diversi indicatori d’identità che caratterizzano ciascun individuo (età, razza, stato di salute, genere, orientamento sessuale, religione ecc.) occorre arrendersi al fatto che – allo stato attuale –non si sommano, ma si moltiplicano, gli svantaggi e le diseguaglianze. I sistemi di relazioni industriali attuali, e prima ancora le Istituzioni pubbliche di molte realtà locali, non sono ancora riusciti a fornire prescrizioni utili a consentire lo sviluppo di iniziative rivolte a soggetti particolarmente discriminati nel mondo del lavoro come le persone con disabilità sensoriali, intellettive, psichiatre. A tal proposito appaiono, invece, degne di nota una serie di azioni di sistema a valenza regionale, attualmente in svolgimento, che vedono come Capofila la Provincia di Monza e della Brianza sul territorio lombardo, e che sperimentano due assi di intervento sia in relazione agli approcci di politiche di disability management sia alla creazione di supporto tecnologico per migliorare l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità sensoriale (www.lavoripossibili.it). Si ritengono utili ivi richiamarle perché rappresentano un esempio di sinergia tra Istituzioni pubbliche, private e del cd. “privato-sociale” capace di offrire opportunità di apprendimento e di evoluzione tanto delle abilità, quanto delle competenze coerenti con le opportunità offerte che rispondono anche agli obiettivi di EUROPA 2020 e dell’Agenda ONU 2030. (sul tema della certificazione ved. Boll. Spec. ADAPT., 23 marzo 2016, n. 6, Il futuro della certificazione delle competenze., a cura di L. CASANO e G.R. SIMONCINI, http://www.bollettinoadapt.it/bollettino-adapt/speciale/bollettino-speciale-adapt-23-marzo-2016-n-6/ ).
Anche la promozione della partecipazione dei lavoratori alla governance della realtà lavorativa attraverso lo sviluppo di forme innovative di welfare aziendale, ad integrazione di quello pubblico universale, non ha raggiunto ancora una maturità sufficiente per riuscire a comprendere quanto tali misure siano (e potranno essere in futuro) innovative, efficaci e aderenti alle specifiche esigenze del lavoratore stesso (amplius T. TREU, Introduzione Welfare aziendale., WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 297/2016). I dati meramente quantitativi, per il momento, inducono a pensare che servano ulteriori passaggi: le aziende che – grazie al welfare aziendale – avrebbero diritto ad una riduzione fino all’azzeramento del prelievo fiscale sui premi di risultato sono quasi 1,8 milioni, ma ad approfittare della possibilità risultano non più di 11 mila. Quelle venete, secondo i dati del Ministero del Lavoro aggiornati a luglio 2017 erano 2.080 (così G. Favero Il welfare aziendale, questo sconosciuto, Il Corriere del Veneto, 9 ottobre 2017).
Non ultimo è il tema dell’accesso alle opportunità di apprendimento per tutto l’arco della vita che consenta di sviluppare una partecipazione piena nella società civile. E’ argomento estremamente attuale considerando solo il numero di 234.658 alunni con disabilità iscritti all’anno scolastico 2017/2018 (fonte: MIUR -Ufficio Statistica e Studi – “Anticipazione sui principali dati della scuola statale”). L’istruzione, la formazione, l’alternanza scuola-lavoro, tutte necessariamente concepite in ottica realmente inclusiva, sono propedeutiche ed essenziali ad ogni possibile considerazione sull’inserimento e sul mantenimento del lavoro. Lo sono alla luce della situazione occupazionale attuale, al numero di persone che non riescono ad inserirsi nel mercato del lavoro o che, a seguito della crisi economica e/o del proprio stato di salute, ne sono fuoriuscite.
3. AGENDA ONU 2030 e il Rapporto ASviS 2017
Mentre a livello europeo prosegue, lentamente, l’iter dell’ European Accessibility Act, peraltro con una serie di risultati “contraddittori” [visto che, da un lato, è stato “accolto” l’obbligo di rendere accessibili gli edifici nuovi e ristrutturati aventi a che fare con servizi bancari, telefonici e di trasporto (articolo 3.10), ma – dall’altro – è stata respinta l’applicazione della legge alle PMI (articolo 12) e risultano esclusi prodotti e servizi come il commercio elettronico e gli e-book], in Italia, .il recente Rapporto 2017 dell’ASviS (l’Alleanza Italiana per lo sviluppo sostenibile) rileva la necessità di uno sviluppo economico inclusivo, cioè in grado di generare lavoro e reddito adeguato per la più ampia fascia possibile della popolazione, pena il rischio di un’insostenibilità sociale a sua volta generatrice di tensioni che non favoriranno la redditività e gli investimenti.
In questa prospettiva, nel Rapporto sono messe in evidenza tre tendenze dominanti nei segmenti più avanzati del sistema produttivo: l’importanza di un’innovazione basata sulle tecnologie digitali; il passaggio all’economia circolare; lo sviluppo di una nuova generazione di infrastrutture adeguate al 21esimo secolo. Dette tendenze, tra le altre, se sapientemente indirizzate, permetteranno di essere proficue per tutti: si pensi allo sviluppo di nuovi prodotti e servizi; alle nuove opportunità di business e le nuove metodologie di lavoro; ai nuovi lavori anche nei cd. settori della green economy, della blue economy ecc. Sono ovviamente necessari la diffusione delle infrastrutture digitali, la modernizzazione dei servizi di trasporto e nuovi approcci in molti contesti della nostra società (ad esempio la diffusione delle best practices del cd. “turismo accessibile”).
La salute della persona – come cittadino e come lavoratore – è un aspetto essenziale. Lo stesso Rapporto ASviS 2017 ricorda che le disuguaglianze in termini di accesso ai servizi restano in Italia molto ampie. Nonostante la recente adozione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) è stata avanzata la necessità di “ridefinire i confini del rapporto tra attuazione dei diritti e vincoli di bilancio, rivedendo gli attuali criteri di bilanciamento tra disponibilità finanziarie e garanzie dei diritti fondamentali”. E’ stata anche rimarcata l’importanza di investire nella prevenzione e nei corretti stili di vita; quella di implementare e migliorare la gestione pubblico-privata dei servizi per la cura delle patologie (soprattutto quelle croniche, visti i numeri in aumento esponenziale); parimenti l’importanza di investire maggiori risorse nella ricerca biomedica e bio-tecnologica (che vede, peraltro, il nostro Paese particolarmente capace e produttivo).
Nei 17 obiettivi di AGENDA ONU 2030 è esplicitata l’esigenza di definire qualificate politiche di sviluppo partendo dall’applicazione concreta di tutti gli strumenti internazionali di tutela dei diritti umani. Le persone con disabilità sono citate, fra l’altro, nell’obiettivo 4 (Assicurare un’educazione di qualità inclusiva e equa e promuovere l’apprendimento per tutta la vita come opportunità per tutti) e nell’obiettivo 8 (Promuovere una crescita economica sostenuta, inclusiva e sostenibile, un impiego pieno e produttivo ed un lavoro dignitoso per tutti).
In particolare il punto 4.5. “impegna «entro il 2030 ad eliminare nell’educazione le disparità di genere e assicurare eguale accesso a tutti i livelli di educazione e formazione professionale a tutti i gruppi vulnerabili includendo le persone con disabilità». E’, altresì, scritto come sia necessario «costruire e aggiornare i sostegni educativi sensibili ai minori, alla disabilità ed al genere, e offrire un ambiente sicuro, non violento inclusivo ed effettivo per tutti».
Il punto 8.5 dichiara che «entro il 2030, (bisogna) conseguire un impiego pieno e produttivo e un lavoro dignitoso per tutti gli uomini e donne, includendo i giovani e le persone con disabilità, e una retribuzione eguale per lavori di eguale valore».
Su entrambi gli obiettivi il Rapporto AsviS 2017 ha evidenziato alcuni dei settori nei quali il nostro Paese necessita di investimenti e interventi, anche organizzativi, al fine “di assicurare una qualità adeguata della forza lavoro e delle tutele adatte ai cambiamenti previsti per i prossimi anni:
• incentivare gli studi nelle discipline STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics);
• dotarsi di un programma nazionale di lifelong learning rivolto a tutta la popolazione;
• investire nelle politiche attive del lavoro e nel sostegno alle start-up innovative e alle nuove imprese under-35 “tradizionali”.
• portare a regime il sistema di alternanza scuola-lavoro e di orientamento.
4. Le disposizioni dell’INAIL rivolte alle persone con “disabilità da lavoro”.
Per conseguire l’obiettivo di “un impiego pieno e produttivo e un lavoro dignitoso per tutti gli uomini e donne, includendo i giovani e le persone con disabilità”, occorre un cambio di paradigma culturale generale che preveda: “soggettività” (superando la standardizzazione dei servizi), “etica” (elaborando un vero e proprio “patto di fiducia”) e “condivisione” (valorizzando il lavoro di rete). Occorre riportare la persona al centro, nella progettazione e nell’impostazione delle scelte organizzative e di gestione.
I modelli di regolazione standardizzati risultano sempre più inadeguati alla prova dei fatti, almeno per quanto attiene alle valutazioni sulle esigenze di cura e di conciliazione vita e lavoro delle persone. L’adozione diffusa degli adattamenti ragionevoli – di cui all’art. 2 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità- è quindi auspicabile (S. BRUZZONE, L’inclusione lavorativa e gli “accomodamenti ragionevoli”: prime riflessioni., Boll. Spec. ADAPT, 18 maggio 2016, n. 7, http://www.bollettinoadapt.it/linclusione-lavorativa-e-gli-accomodamenti-ra-gionevoli-prime-riflessioni/ ), non per adempiere solo a diritti formali di matrice legale, ma per consentire interventi formativi, riabilitativi e di inserimento efficaci in contesti dove vi sono nuove tipologie contrattuali, nuove forme di lavoro, nuovi modi di produrre e lavorare, nuovi concetti di idoneità e di capacità lavorativa.
Dall’esame delle disposizioni dell’ultimo biennio “in materia di reinserimento e di integrazione lavorativa delle persone con disabilità “da lavoro”, possono trarsi alcuni spunti e considerazioni. Quello che è stato avviato con l’art. 1, comma 166, della Legge 160/2014, rappresenta un modello di tutela privilegiato – in virtù di una disposizione di rango costituzionale (art. 38, comma 2, Cost.) – che costituisce la prima vera attuazione dell’art. 3 bis del decreto legislativo 216/2003, secondo cui gli accomodamenti ragionevoli sono un vero diritto soggettivo delle persone con disabilità.
E’ un canale “sperimentale e graduale” di interventi rivolti alla conservazione del posto di lavoro per gli assicurati (cfr. Reg. INAIL n. 258 del luglio 2017; Circolare Inail n. 51/2016 e dalla delibera n.2 del 22 febbraio 2017) e al reinserimento lavorativo con nuova occupazione (così circolare Inail, n. 30/2017) di persone che a causa di un infortunio sul lavoro o di una malattia professionale, hanno “riportato una menomazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva che, indipendentemente dal grado della menomazione stessa, è causa di difficoltà motoria o sensoriali, di apprendimento di relazione, tale da determinare problematiche di integrazione lavorativa nonché processi di svantaggio sociale o di emarginazione”.
Al di là della terminologia persona con disabilità “da lavoro” (ved. Circ. INAIL 51/2016) che stona con la lett. e) del Prambolo della Convenzione ONU, secondo cui la disabilità è un concetto in evoluzione ed è “il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri”, si ritiene apprezzabile aver previsto l’applicazione della normativa indipendentemente dal grado della menomazione, stante quanto supra specificato circa la logica dell’ICF e l’inutilità delle percentuali ancora oggi applicate per gli accertamenti.
Altrettanto importante è il tentativo di dare una prima indicazione di massima delle tipologie di interventi possibili distinguendo tra:
– gli interventi di superamento e di abbattimento delle barriere architettoniche nei luoghi di lavoro [che comprendono gli interventi edilizi, impiantistici e domotici], nonché i dispositivi finalizzati a consentire l’accessibilità e la fruibilità degli ambienti];
– quelli di adeguamento e di adattamento delle postazioni di lavoro che comprendono gli interventi di adeguamento di arredi facenti parte della postazione di lavoro, gli ausili e i dispositivi tecnologici, informatici o di automazione funzionali all’adeguamento della postazione o delle attrezzature di lavoro, ausili o dispositivi di supporto di deficit sensoriali o motori, di strumenti di interfaccia macchina-utente (sono compresi i comandi speciali e gli adattamenti di veicoli costituenti strumenti di lavoro);
– gli interventi di formazione (comprendenti gli interventi personalizzati di “addestramento” all’utilizzo delle postazioni e delle attrezzature di lavoro; i corsi di formazione e tutoraggio utili ad assicurare lo svolgimento della mansione o riqualificare per adibire ad altra mansione).
Il tema non è di poco conto stante la necessità di approfondire con chiarezza la differenza tra gli accomodamenti e quelli che, invece, devono considerarsi dei sostegni nel collocamento mirato ex legge 68/1999.
Essenziale, in un’ottica più ampia, è ovviamente la copertura finanziaria delle iniziative.
Degna di nota poi è la valorizzazione dell’equipe multidisciplinare che deve valutare il profilo psicofisico, funzionale e lavorativo della persona al fine di elaborare il progetto e il piano esecutivo.
Vi sono figure essenziali non ancora sufficientemente valorizzate nel nostro paese. Gli psicologi, anzitutto, per effettuare un primo bilancio di competenze, l’analisi del livello di accettazione della situazione da parte della persona attraverso l’osservazione della capacità di reazione agli eventi stressanti e alle frustrazioni; l’analisi dei sostegni familiari e sociali; l’individuazione e il rinforzo di fragilità e di risorse sia personali che di ambito lavorativo. Parimenti essenziale è la “lettura delle organizzazioni”: la comprensione del clima e della salute dei gruppi che non può essere fatta attraverso il mero conteggio di fenomeni falsamente considerati oggettivi, come le assenze o il turnover del personale (così E. CORDARO, La valutazione esistenziale del lavoro e della dimensione psico-sociale nel lavoro che cambia, pp.111, AA.VV. Ergonomia nel lavoro che cambia., Ed. Palinsesto 2010). Tali approfondimenti sono ancor più essenziali che in passato poiché il processo di separazione del lavoratore dal posto di lavoro oggi, è ulteriormente rafforzato da scelte organizzative e situazioni contrattuali che rendono “contestualmente evanescente e impalpabile lo stesso spazio fisico del luogo di lavoro”. Per alcuni il lavoro così concepito può perdere quella rappresentatività emotiva e sociale che ha sempre garantito e può continuare a garantire una maggiore forza al senso d’identità e un adeguato rinforzo alla stima di sé, rischiando di rendere particolarmente fragile i soggetti di fronte alle situazioni stressanti che lavoro e vita possono determinare (ved. E. CORDARO, La valutazione esistenziale del lavoro e della dimensione dei processi psicosociali nel lavoro che cambia, in AA.VV. Ergonomia nel lavoro che cambia, oper. cit. p. 113)”.
Altrettanto importanti sono i terapisti occupazionali – professionisti sanitari che lavorano per il raggiungimento della massima autonomia possibile da parte della persona che ha subito un danno fisico/psichico all’interno di un percorso/progetto riabilitativo (cfr. Decreto Ministeriale 17 gennaio 1997, n. 136 “Regolamento concernente la individuazione della figura e relativo profilo professionale del terapista occupazionale”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 24 maggio 1997, n. 119) – e gli ergonomi, ovvero coloro che studiano le interazioni tra l’uomo e gli altri elementi di un sistema, applicando teoria, principi, dati e metodi di progettazione al fine di ottimizzare il comportamento umano e le prestazioni del sistema nel suo complesso. [definizione dell’International Ergonomics Association (IEA), 2000].
Le equipes interdisciplinari per la riabilitazione – intesa come il processo di cambiamento attivo attraverso il quale una persona acquisisce e usa le conoscenze e le abilità necessarie per rendere ottimali le proprie funzioni fisiche, psicologiche e sociali (http://www.who.int/disabilities/care/Rehab2030MeetingReport2.pdf?ua=1 ) – richiedono diffusione concreta, più di quanto non sia.
L’approccio indicato nella normativa INAIL circa la formazione del progetto lavorativo personalizzato presenta una serie di fasi che sarebbero importanti in tutte le situazioni e in tutti i contesti: dall’acquisizione delle risultanze della visita medica (effettuata dal medico competente o dal servizio di prevenzione della ASL) in merito all’idoneità alla mansione specifica; alla rilevazione dei bisogni e delle esigenze del lavoratore; al sopralluogo nell’ambiente di lavoro e all’acquisizione dei bisogni/necessità del datore.
Qualche perplessità sorge tuttavia in relazione a quelle che potranno essere i reali risultati, in termini soprattutto quantitativi, dell’iniziativa poiché le formalità e i criteri previsti per l’elaborazione del progetto e del piano esecutivo prevedono una serie di condizioni che renderanno esiguo il numero di aziende in grado di avanzare la richiesta.
5.Conclusioni.
Nell’ambito dei grandi cambiamenti che stiamo vivendo, con tutti i vantaggi e svantaggi ad essi collegati e da più parti studiati, appare importante rimarcare il ruolo della cooperazione che – anche alla luce delle Riforme in essere – si spera possa sempre più rispondere alle necessità della produzione e dei mercati. Il bagaglio di esperienza che molte realtà hanno sviluppato nel lavoro di rete e in settori nevralgici per la società civile, dovrebbe essere visto come una ricchezza anche per il settore “for profit” e per la Pubblica Amministrazione. Le stesse soluzioni di inserimento e di mantenimento dell’occupazione adottate per le persone con disabilità in molte realtà del cd. Terzo settore sono patrimonio comune da non sottovalutare.
Ovviamente servono anche decisioni politiche importanti sul costo del lavoro; sugli incentivi concreti agli esempi realmente virtuosi di responsabilità sociale d’impresa; sul sistema di finanziamento del sistema previdenziale e su quello socio-assistenziale.
Occorrono cambiamenti profondi nell’intero ambiente che ci circonda.
Silvia Bruzzone https://moodle.adaptland.it/mod/page/view.php?id=15393
Avvocato
Direttore Responsabile Osservatorio “Chronic Diseases and Work”
@silvia_bruzzone